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portantina chiusa ai quattro lati da stoffe dai colori sgargianti.
Il ragazzino scese da cavallo, disse qualcosa e se ne scappò via.
Prima di sparire tra gli alberi si voltò e per un attimo rimase lì, cercando un
gesto per dire che era stato un viaggio bellissimo.
- E' stato un viaggio bellissimo -, gli gridò Hervé Joncour.
Per tutto il giorno Hervé Joncour seguì, da lontano, la carovana.
Quando la vide fermarsi per la notte, continuò lungo la strada finché gli
vennero incontro due uomini armati che gli presero il cavallo e i bagagli e lo
condussero in una tenda. Attese a lungo, poi Hara Kei arrivò. Non fece un
cenno di saluto. Non si sedette neppure.
- Come siete arrivato qui, francese?
Hervé Joncour non rispose.
- Vi ho chiesto chi vi ha portato qui.
Silenzio.
- Qui non c'è niente per voi. C'è solo guerra. E non è la vostra guerra.
Andatevene.
Hervé Joncour tirò fuori una piccola borsa di pelle, la aprì e la
svuotò per terra. Scaglie d'oro.
- La guerra è un gioco caro. Voi avete bisogno di me. Io ho bisogno
di voi.
Hara Kei non guardò neppure l'oro sparso per terra. Si voltò e se ne
andò.
Hervé Joncour passò la notte ai margini del campo.
Nessuno gli parlò, nessuno sembrava vederlo. Dormivano tutti per
terra, accanto ai fuochi. C'erano solo due tende. Di fianco a una, Hervé
Joncour vide la portantina, vuota: appese ai quattro angoli c'erano delle
piccole gabbie: uccelli. Dalle maglie delle gabbie pendevano minuscoli
campanelli d'oro. Suonavano, leggeri, nella brezza della notte.
Quando si svegliò, vide attorno a sé il villaggio che stava per
rimettersi in cammino. Non c'erano più tende.
La portantina era ancora là, aperta. La gente saliva sui carri,
silenziosa. Si alzò, e si guardò intorno a lungo ma erano solo occhi dal
taglio orientale quelli che incrociavano i suoi, e subito si abbassavano. Vide
uomini armati e bambini che non piangevano. Vide le facce mute che ha la
gente quando è gente in fuga. E vide un albero, sul bordo della strada. E
appeso a un ramo, impiccato, il ragazzino che lo aveva portato fin lì.
Hervé Joncour si avvicinò e per un po' rimase a guardarlo, come
ipnotizzato. Poi sciolse la corda legata all albero, raccolse il corpo del
ragazzino, lo posò a terra e gli si inginocchiò accanto. Non riusciva a
staccare gli occhi da quel volto. Così non vide il villaggio mettersi in
cammino, ma solo sentì, come lontano, il rumore di quella processione che
lo sfiorava, risalendo la strada. Non alzò lo sguardo neppure quando sentì la
voce di Hara Kei, a un passo da lui, che diceva
- Il Giappone è un Paese antico, sapete? La sua legge è antica: dice
che ci sono dodici crimini per cui è lecito condannare a morte un uomo. E
uno è portare un messaggio d'amore della propria padrona.
Hervé Joncour non staccò gli occhi da quel ragazzino ammazzato.
- Non aveva messaggi d'amore con sé.
- Lui era un messaggio d'amore.
Hervé Joncour sentì qualcosa premere sulla sua testa, e piegargli il
capo verso terra.
- È un fucile, francese. Non alzate lo sguardo, vi prego.
Hervé Joncour non capì subito. Poi sentì, nel fruscio di quella
processione in fuga, il suono dorato di mille minuscoli campanelli che si
avvicinava, a poco a poco, risaliva la strada verso di lui, passo dopo passo, e
benché nei suoi occhi ci fosse soltanto quella terra scura, poteva
immaginarla, la portantina, oscillare come un pendolo, e quasi vederla,
risalire la via, metro dopo metro, avvicinarsi, lenta ma implacabile, portata
da quel suono che diventava sempre più forte, intollerabilmente forte,
sempre più vicino, cosi vicino da sfiorarlo, un dorato frastuono, proprio
davanti a lui, ormai, esattamente davanti a lui - in quel momento - quella
donna - davanti a lui.
Hervé Joncour alzò il capo.
Stoffe meravigliose, seta, tutt'intorno alla portantina, mille colori,
arancio, bianco, ocra, argento, non una feritoia in quel nido meraviglioso,
solo il fruscio di quei colori a ondeggiare nell'aria, impenetrabili, più leggeri
del nulla.
Hervé Joncour non sentì un'esplosione sfasciargli la vita. Senti quel
suono allontanarsi, la canna del fucile staccarsi da lui e la voce di Hara Kei
dire piano
- Andatevene, francese. E non tornate mai più.
Solamente silenzio, lungo la strada. Il corpo di un ragazzino, per
terra. Un uomo inginocchiato. Fino alle ultime luci del giorno.
Hervé Joncour ci mise undici giorni a raggiungere Yokohama.
Corruppe un funzionario giapponese e si procurò sedici cartoni di uova di
baco, provenienti dal sud dell'isola. Li avvolse in panni di seta e li sigillò in
quattro scatole di legno, rotonde. Trovò un imbarco per il continente, e ai
primi di marzo giunse sulla costa russa.
Scelse la via più a nord, cercando il freddo per bloccare la vita delle
uova e allungare il tempo che mancava prima che si schiudessero.
Attraversò a tappe forzate quattromila chilometri di Siberia, varcò gli Urali e
giunse a San Pietroburgo. Comprò a peso d'oro quintali di ghiaccio e li
caricò, insieme alle uova, nella stiva di un mercantile diretto ad Amburgo.
Ci mise sei giorni ad arrivare. Scaricò le quattro scatole di legno, rotonde, e
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